Palazzo Giandalia

Il Palazzo Giandalia rappresenta una delle maggiori espressioni architettoniche del Comune di Castronovo di Sicilia.

L’impianto originale del Palazzo risale al 1200, in seguito a modifiche ha raggiunto nel XIX secolo l’attuale aspetto architettonico. Secondo lo storico Castronovese Tirrito, il Palazzo Giandalia è stato costruito dalla famiglia Alondres sul muro di cinta della “antica città, che includeva una torre di origine Normanna, i cui resti sono visibili nello spigolo destro del prospetto principale. L’edificio con struttura portante in muratura di pietra calcarea.

In origine il piano terra dell’edificio era adibito a magazzino, mentre il primo e il secondo piano erano riservati ad abitazione. Le volte degli ambienti del primo piano sono quasi tutte decorate con affreschi di pregevole fattura attribuiti all’artista Giuseppe Enea, pittore e decoratore del teatro Massimo di Palermo. Nella prima sala vi sono raffigurate le muse della poesia della musica, motivi floreali e personaggi, nella seconda vi è raffigurata la civiltà Greca con delicati motivi  floreali, la terza sala oggi destinata a sala convegni è dedicata allo scrittore Antonio Pizzuto dalle origini Castronovesi, vi sono raffigurate sempre motivi floreali, putti, figure femminili e vedute paesaggistiche (attribuibili all’ambiente Napoletano). La parte nord del Palazzo  è molto più antica più o meno attribuibile al XVIII secolo le volte sono affrescati da delicati lineamenti floreali con colori soffusi dalle tonalità fredde, tranne quelli con i ventagli cinesi e dalle vedute paesaggistiche Veneziane.

Il Palazzo ospita alcuni reperti archeologici e il museo della musica “Mario Del Monaco”. Infatti, è allestita una mostra permanente con oggetti, abiti di scena, registrazioni, quadri, fotografie dedicate al grande tenore italiano.

Chi era Mario Del Monaco?

Mario del Monaco nasce a Firenze il 27 luglio 1915 da una famiglia della buona borghesia(il nonno materno era farmacista) con ascendenze nobiliari(la nonna paterna era la principessa palermitana Caterina Vanni di San Vincenzo).

Fin dall’infanzia Mario subì l’influsso degli interessi musicali della famiglia. La madre Flora Giachetti che egli definì “la mia prima musa”, possedeva una bellissima voce. Il padre Ettore svolse per qualche tempo l’attività di critico musicale a New York.

Dopo il trasferimento della famiglia a Cremona prima e a Tripoli poi per l’attività del padre, i Del Monaco si stabilirono a Pesaro dove Mario, diventò allievo del Maestro Arturo Melocchi, al Conservatorio Rossini.

Per il giovane tenore gli inizi furono molto sofferti.

Vinta nel 1936 una borsa di studio per un corso di perfezionamento al Reale Teatro dell’Opera di Roma, sarebbe incappato in una grave crisi vocale:infatti insegnanti, traditi dall’esile figura, diressero Mario verso un repertorio lirico leggero, riducendo la sua voce al punto di distruggerla. Appassionato di pittura e scultura, si diplomò anche alla scuola d’Arte.

Nel 1941 Mario sposò Rina Fedora Filippini una giovane soprano compagna di studi conosciuta alla scuola del Teatro dell’Opera di Roma, che rimarrà la sua compagna inseparabile ed ascoltata consigliera per tutta la vita. Dal matrimonio nacquero due figli: Giancarlo e Claudio. La sua carriera ebbe inizio nel 1939 con il debutto nel ruolo di Turiddu in Cavalleria Rusticana di Mascagni.

Il primo successo risale al 31 Dicembre 1940, nel ruolo di Pinkerton (madama Butterfly), al Teatro Puccini di Milano. Il debutto internazionale avvenne nel 1946 a Londra, alla Scala di Milano nel 1949 in Andrea Chénier di Umberto Giordano. La vera svolta della sua carriera fu nel 1950, con il debutto nel ruolo del protagonista nell’Otello di Verdi al Teatro Colón di Buenos Aìres.

Da qui in poi gli si aprirono le porte dei teatri più prestigiosi del mondo, con spettacoli passati alla storia dell’opera,e collaborando con i più grandi artisti della sua epoca. Da ricordare il suo sodalizio con Renata Tebaldi, sua partner in numerose recite, particolarmente in Tosca, Otello e Andrea Chénier. Fu il primo cantante italiano del dopoguerra ad esibirsi al Teatro Bol’Šoj di Mosca. Nel 1964, un grave incidente automobilistico lo costrinse ad interrompere la sua attività, che riprese comunque entro la fine di quell’anno, per proseguire poi fino agli anni Settanta. Lasciò le scene nel 1975 con alcune recite di Pagliacci.

Ritiratosi nella sua villa di Lancenigo, vicino a Treviso, si dedicò all’insegnamento fino alla morte, avvenuta per un infarto conseguente ad un lungo periodo di dialisi renale, fu sepolto nei panni di Otello, il costume da lui stesso disegnato. L’attività artistica di Del Monaco vede un erede nel figlio Giancarlo Del Monaco affermato regista teatrale e anche nella nipote, la cantante Donella Del Monaco. Dotato di voce scura e potente da tenore drammatico, interpretò 427 recite in Otello Verdiano. Di quest’opera Del Monaco, potè esprimere a pieno le proprie doti e ha lasciato numerose incisioni discografiche, nel ruolo del Moro di Venezia, Del Monaco è stato il più famoso interprete del XX secolo. Dotato di un carattere volitivo ha saputo affrontare e sublimare i momenti di sofferenza dai quali non è immune la vita di nessun uomo. Del Monaco è entrato nella storia del melodramma, come il tenore che ha saputo trasmettere quella sofferenza e quella gioia che solo un vero artista è in grado di trasmettere. Mario Del Monaco, interprete umano, generoso,espressivo e comunicativo, ha saputo”inventare” un nuovo modo di porgere il canto, un modo moderno e innovativo dalla voce sostenuta da fiati interminabili e governata da un controllo magistrale dell’organo vocale che gli consentiva di passare dall’acuto possente alla calibrata mezza voce. Il tutto con un rispetto allora nuovo per il dettato musicale. Morí a Mestre il 16 Ottobre 1982.

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23 January 2010

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E poter rivedere tutto, un sabato nell’estrema provincia, rimpetto la montagna di Cammarata, a Castro pingue e felice, protetta dal Kassar, da San Vitale, dal Calvario, e giù in pianura l’impiccolita stazioncina col treno non più grosso dell’indice, levarsi dalla locomotiva il fiocchetto bianco tardi seguito dal fischio, che già era di nuovo avviata; una asina per visitare i dispersi beni paterni, Sant’Andrea, le Grotte del Capelvenere, il molino detto Contessa, la cui gora atterriva mamma, e l’acqua finiva a rigagnolo nel Platani sassoso. (Antonio Pizzuto, Si riparano bambole, Sellerio, 2001, pp. 295-296).

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